14 dicembre 2015
<<Una mattina mi son svegliato e ho trovato …. che le decisioni più importanti per il nostro Paese sono prese all’estero, da persone che parlano un’altra lingua e che noi non abbiamo eletto>>. Con queste amare parole mi ha accolto, in ospedale, un amico economista finalmente uscito dal coma profondo durato quasi dieci anni. E’stata questa la sua risposta alla mia domanda in merito alle sensazioni da lui provate leggendo i primi giornali, dopo il risveglio.
Mi ha anche detto che durante il lungo sonno non ha sofferto. Anzi, è stato come vivere un lungo sogno, molto piacevole: ha sognato di vivere negli Stati Uniti d’Europa. Ha sognato che i contribuenti della Baviera finanziavano con le loro imposte i disastrati servizi sociali e sanitari della Grecia, o sostenevano l’economia povera dell’Andalusia così come la Lombardia fa per la Calabria o come il Delaware fa per il New Mexico e per il West Virginia. Ha sognato che il Parlamento europeo era la sede del potere legislativo e votava la fiducia ad un esecutivo rappresentativo delle scelte degli elettori. Ha sognato che l’Eurozona era un’area economica fra le più ricche del mondo in grado di trainare la crescita di altri paesi extra-europei.
Tanti altri sogni bellissimi rovinati da un brusco risveglio: abbiamo ancora una sovranità statale? abbiamo ancora una sovranità popolare? e, se le abbiamo cedute, dove sono andate? Come è possibile che il programma del governo non cambi in risposta al mutare delle scelte degli elettori? Berlusconi, Monti, Letta, Renzi: l’agenda non cambia e non viene scritta a Roma, ma a Bruxelles. Stessa musica in Grecia e, nelle settimane scorse, in Portogallo. Il voto degli elettori si infrange contro un muro di regole, contro la sovranità dei mercati finanziari, contro un sistema di vincoli esterni considerati “stupidi” (copyright Romano Prodi) e giudicati controproducenti da molti economisti. Dove stiamo andando?
Gli ho portato i principali dati sull’economia, come mi aveva chiesto subito dopo il risveglio. Forse non avrei dovuto farlo. L’ho visto sbiancarsi in volto. <<Dimmi la verità; mentre dormivo avete fatto una guerra? mai in tempo di pace si era vista una crisi peggiore di questa dal 1861 ad oggi! l’intera Eurozona è il buco nero dell’economia mondiale! Cosa stiamo facendo per uscirne?>>.
Lo vedevo sempre più agitato ed ero molto preoccupato per il suo stato di salute ancora precario. Ma non potevo sottrarmi alle sue domande pressanti. Cosa stiamo facendo? siamo nelle mani della banca centrale, ultima spiaggia, unica leva rimasta per il governo dell’economia: sta dopando l’economia iniettando 60 miliardi ogni mese e potrebbe presto aumentare dose e durata della terapia, e con quei soldi compra titoli di stato; per effetto voluto da questa terapia la nostra moneta si è svalutata di quasi il 30% nell’ultimo anno e Draghi spera che produca anche inflazione.
A questo punto si è accasciato sulla poltrona << ma queste sono le cose che facevamo in Italia prima dell’euro! è possibile che l’euro, per funzionare, debba comportarsi come la lira? no, ti prego, non dirmi che siamo tornati alla lira! se è così, che ne è dei nostri risparmi? che ne è del valore delle nostre case? e i nostri investimenti finanziari? quali prospettive di lavoro per i nostri figli? >>. Tranquillo, tranquillo, non siamo tornati alla lira. Però non è che l’euro ci dia una protezione migliore. Le nostre case in effetti hanno perso gran parte del loro valore; se devi vendere un immobile semplicemente non trovi il compratore se non a prezzi da svendita; le imposte sugli immobili sono quasi triplicate negli ultimi quattro anni; la disoccupazione supera il 12% e quella giovanile supera abbondantemente il 40%; e poi, è vero, non puoi contare più di tanto sulla rendita dei tuoi risparmi, anzi, se presti soldi allo Stato fino a due anni l’interesse non lo riscuoti, lo paghi: il rendimento è negativo.
A questo punto ho dovuto chiamare un’infermiera perché si era agitato davvero troppo. <<No, adesso mi devi spiegare; allora, dimmi, secondo te tutto questo è da attribuire all’euro; vuoi dire che l’euro è stato un fallimento! >>. No, non è un’idea mia. Economisti molto autorevoli lo hanno detto prima che fosse adottato e, oggi, anche i più irriducibili ottimisti sognatori, di fronte all’evidenza dei fatti, ne riconoscono la disfunzionalità che rischia di mandare all’aria l’intero progetto di integrazione europea.
Tieni presente, però che se per molti è stato un incubo a occhi aperti, altri ne hanno avuto vantaggi rilevanti. Per altri ancora, l’euro sta semplicemente facendo il lavoro per cui è stato pensato: cambiare lentamente ma radicalmente il funzionamento dell’economia e il modello di società che abbiamo costruito nel dopoguerra secondo l’impronta data dalla nostra Costituzione. Cambiamento in meglio o in peggio? Dipende dai gusti, ma certamente è una storia molto, molto, diversa da quella che in tanti avevamo sognato.
Pubblicato dalla Gazzetta di Parma