Robert Mundell e i coccodrilli strabici

I grandi personaggi hanno il privilegio, nei giorni successivi al decesso, di essere ricordati dai principali quotidiani con la pubblicazione dei così detti “coccodrilli”. La regola è che si parli molto bene del defunto; tuttavia a volte si eccede nell’enfasi finendo per rendergli un cattivo servizio.

A volte si fa anche peggio: tra le tante cose fatte, dette o scritte dal defunto, capita che l’autore del coccodrillo operi una scelta discrezionale e soggettiva e decida di mettere in evidenza, esagerandoli, aspetti particolari utili a sostenere opinioni che si vogliono rafforzare agli occhi del lettore. Si fa quello che nel linguaggio comune dei paesi anglofoni viene definito “cherry-picking”, un modo di dire per indicare la tendenza, che tutti abbiamo, di selezionare le informazioni e le fonti in base alle nostre convinzioni.

E’ questa l’impressione che ho avuto leggendo in alcuni quotidiani che Robert Mundell, deceduto il giorno di Pasqua, è stato, con la sua teoria delle aree valutarie ottimali (AVO), il ”padre” o l’ “architetto” dell’euro. Queste affermazioni mi sono sembrate, al contempo, un cherry-picking e un’esagerazione.

Mi ha meravigliato questa attribuzione di paternità che risulta quanto meno riduzionista rispetto alla complessità e alla vastità di campo dei contributi scientifici di Mundell, un gigante della teoria economica. Per di più, l’attribuzione è stata proposta nel momento in cui l’immagine e il gradimento dell’euro stanno toccando i minimi storici. Non ci sarebbe tanto da vantarsi della presunta paternità di fronte all’impietoso confronto dell’Unione Europea con gli Stati Uniti (ma anche con Gran Bretagna, Cina e Giappone) per quanto riguarda la tempestività, la dimensione e le modalità del sostegno all’economia, gli incidenti di percorso e la tempistica del NGEU, la fallimentare politica europea in materia di vaccini.

Perché, con tutto quello che ha fatto e scritto, si è voluto focalizzare il ricordo di Mundell sull’affermazione, tutta da dimostare, che si debba a lui e alla sua teoria delle aree valutarie ottimali (AVO) la nascita dell’euro?

Nella migliore delle ipotesi, si può pensare che si sia trattato semplicemente di una manifestazione del “pregiudizio di conferma”, meccanismo ben noto agli scienzati della mente. Si tratta di un automatismo attraverso il quale il nostro cervello – senza un atto di volontà cosciente – ricerca, interpreta, seleziona e soprattutto presta attenzione a quelle informazioni che confermano scelte e giudizi passati, e trascura le altre. 

Perciò, nessuna sorpresa da parte di quotidiani che da oltre vent’anni sono sostenitori apodittici della moneta unica, che mai hanno ritenuto di aprirsi al dubbio neppure di fronte alle promesse tradite e ai pessimi risultati, che hanno volutamente e colpevolmente ignorato una vasta e qualificata letteratura critica. Anzi, probabilmente l’occasione è parsa propizia per consolidare la linea editoriale di sostegno militante dell’architettura istituzionale dell’eurozona, e delle ideologie che le hanno dato forma, proprio nel momento in cui queste sembrano vacillare.

A voler essere interpreti meno generosi, sembra che si sia voluto proporre al lettore, speciosamente, un implicito sillogismo: a) Mundell è stato un gigante della teoria economica internazionale e ha avuto il premio Nobel anche per la sua teoria delle aree valutarie ottimali, b) Mundell è stato favorevole al progetto della moneta unica e ha prestato la propria consulenza nel corso dei lavori preparatori, c) ergo l’euro è un ottimo progetto che trova fondamento nella migliore teoria economica.

Ho trovato conferma delle mie impressioni nel commento di Martin Wolf, capo economista del Financial Times: “it is an exaggeration to call Mundell the father of the euro”. E condivido pienamente quanto aggiunge lo stesso Wolf: “but he did give intellectual legitimacy to the idea of a single currency”. A questo proposito, ho trovato illuminante quanto fu scritto da Rudiger Dornbush, uno degli allievi prediletti di Mundell e, a sua volta, maestro di Paul Krugman (altro premio Nobel): “l’orientamento di Mundell a favore di una moneta europea ha avuto in definitiva una matrice di carattere prettamente politico e non ha nulla a che vedere con la sua celebre teoria delle aree valutarie ottimali”.

Un conto è sostenere che l’unione monetaria è un progetto politico e che Mundell lo ha fortemente condiviso. Altro conto è sostenere che l’adozione dell’euro trova fondamento e legittimazione nella teoria mundelliana delle AVO. La distinzione tra il “Mundell politico” e il “Mundell teorico delle AVO” è il punto chiave per comprendere la citata indicazione di Dornbush.

Per il Mundell politico l’unione monetaria era ed è un progetto da sostenere perché l’euro è un potente strumento per l’imposizione delle sue teorie economiche che furono, prima, condivise da Reagan e dalla Thatcher e, successivamente, hanno trovato applicazione anche nell’eurozona, ed è un veicolo molto efficace per la trasformazione della società secondo l’ideologia neoliberale.

Al contrario, seguendo le indicazioni del Mundell teorico delle AVO, si deve concludere che l’eurozona non è un’area valutaria ottimale e non è in grado di gestire e risolvere adeguatamente le crisi economiche che colpiscono in modo asimmetrico i paesi membri.

Questa dicotomia tra analisi teorica e prescrizioni politico-ideologiche non dovrebbe sorprendere: è consolidata nella letteratura economica la consapevolezza che l’euro è un progetto che risponde a logiche e obiettivi della politica e che è stato consapevolmente implementato contro le indicazioni di una qualificata ricerca economica che aveva preventivamente evidenziato l’insostenibilità di un esperimento monetario che non ha precedenti nella storia.   

Le condizioni previste dal framework di analisi proposto da Mundell nel 1961, necessarie per qualificare l’ottimalità di un’area valutaria, postulavano ampia flessibilità dei salari e dei prezzi e perfetta mobilità del lavoro (emigrazione) e del capitale. Quando un paese dell’area fosse stato colpito da uno shock economico o finanziario, le condizioni indicate avrebbero surrogato, quali strumenti di aggiustamento dello squilibrio, la perduta fluttuazione dei cambi e l’impossibilità di attuare una politica monetaria autonoma.

Al fine di cogliere quanto il framework di analisi proposto da Mundell fosse innovativo e fuori dagli schemi, è utile considerare che due riviste prestigiose non accettarono il paper per la pubblicazione, come egli stesso ricorda in una rassegna-intervista sulla sua produzione scientifica. E ricorda anche che, dopo la pubblicazione, “the optimum currency area argument has been used both for and against the creation of the euro”.

Un’ampia letteratura aveva ritenuto che, non sussistendo pienamente nei paesi della futura eurozona le condizioni indicate da Mundell, i benefici attesi sarebbero stati ampiamente sovrastati dai costi connessi al forte indebolimento della capacità di contrastare le crisi economiche. Cito, per tutti, la famosa lapidaria sentenza di Dornbush: “If there was ever a bad idea, EMU is it.” Approfondite analisi critiche della teoria delle AVO sono proposte qui, qui, qui e qui.

Successivamente, nel corso dei vent’anni di vita dell’eurozona, le condizioni indicate da Mundell per l’ottimizzazione dell’area sono risultate, alla prova dei fatti, o poco praticabili (mobilità del lavoro), o inefficaci e socialmente molto onerose (flessibilità dei salari e dei prezzi) e perfino controproducenti (mobilità del capitale). Soprattutto quest’ultima condizione si è rivelata, con la crisi del 2008, una causa anziché un fattore di aggiustamento degli squilibri.

Il Mundell politico è stato uno dei più autorevoli fautori del connubbio tra teoria economica e ideologia neoliberale ed è stato uno dei più ascoltati sostenitori delle prescrizioni politiche che discendono dalla riaffermazione dei paradigmi economici neoclassici in contrapposizione all’economia keynesiana. Come notava Keynes, le decisioni dei politici, anche inconsapevolmente, sono dettate dalle idee degli economisti. Mai come in questo caso risulta centrato l’aforisma di Keynes.

Tra gli altri innumerevoli contributi, Mundell ha svolto un ruolo primario nella nascita della supply side economics che ha giustificato l’ostracismo nei confronti dell’intervento dello stato nella gestione della domanda aggregata; ha inoltre sostenuto la teoria del trickle-down che ha portato a ridurre le aliquote di imposta più alte secondo l’assunto che i benefici economici a vantaggio dei ceti abbienti favoriscono la crescita economica e quindi generano benessere per l’intera società comprese le fasce di popolazione più disagiate. Con le sue teorie è stato il mentore delle politiche economiche reaganiane e thatcheriane. Credo che non ci siano dubbi che l’adozione della moneta unica, che ha avuto ampio sostegno da Mundell anche in qualità di consulente della Commissione europea nella prima metà degli anni settanta, si inquadri compiutamente nella visione ideologica neoliberale dell’economia e della società.

Il Mundell teorico delle AVO ha aperto un nuovo campo di ricerca che merita indubbiamente il riconoscimento dovuto ai lavori pionieristici. La sua teoria ha costituito la base di lavoro di una serie infinita di ulteriori contributi che hanno concorso ad arricchirla ed è riconosciuta come pietra miliare dagli studiosi che si occupano di economia internazionale. Ma come tutte le teorie deve fare i conti con l’evidenza empirica, con fenomeni che, alla prova dei fatti, possono risultare non comprensibili all’interno del proprio quadro concettuale. Ed è proprio il confronto con la verifica empirica che costituisce la molla del progresso scientifico.

Ben diversa è la connessione tra ideologia e fatti. L’ideologia è una rappresentazione astratta e capziosa della realtà, un artificio concettuale che si propone di coprire, di occultare strumentalmente la realtà per indirizzarla verso comportamenti ed assetti favorevoli ad interessi di parte. Quando l’ideologia si scontra con la realtà, da positiva diventa normativa: è la società che deve adattarsi. Se i fatti mettono in dubbio quanto proposto dall’ideologia, peggio per i fatti. E sono questi ultimi a doversi aggiustare non l’ideologia.

E’ stato opportunamente evidenziato che la teoria delle AVO non dice che il mercato del lavoro “deve” essere flessibile, che i lavoratori e il capitale “devono” essere mobili, che i salari e i prezzi “devono” essere aggiustabili, ovviamente verso il basso. Dice che se non lo sono è meglio non avere una moneta in comune perché, in questo caso, il costo da pagare (da parte di qualcuno) supera i benefici (goduti da qualcun altro).

Questo per quanto riguarda la teoria. La struttura istituzionale e le politiche imposte dall’Unione Monetaria hanno invece una matrice fortemente ideologica e cercano di forzare la sostenibilità dell’area attraverso l’imposizione di regole e di così dette “riforme strutturali” finalizzate a creare surrettiziamente i requisiti della sostenibilità. Il mercato del lavoro “deve” essere flessibile così come i salari e i prezzi; il lavoro come il capitale “deve” essere mobile all’interno dell’eurozona.

La partecipazione all’unione monetaria impone pertanto di fare le riforme, impone cioè di modificare l’ordine economico-sociale in coerenza con i paradigmi ideologici codificati nei trattati. Allora, quanto meno, sarebbe opportuno dare loro la corretta denominazione considerando che le riforme sono state fatte nei trent’anni gloriosi del secondo dopo guerra e sono state grandi conquiste che hanno fatto avanzare i diritti sociali e le condizioni dei lavoratori riducendo le disuguaglianze. Penso allo statuto dei lavoratori, al sistema sanitario nazionale, alle norme a tutela delle persone sui luoghi di lavoro, alle pensioni. Quello che oggi ci è richiesto di fare è di smantellare quelle riforme. Allora definiamole con il loro nome corretto: sono controriforme e sono finalizzate a surrogare, con la svalutazione del lavoro e con la deflazione, la perduta possibilità della svalutazione del valore esterno della moneta. E si tratta di prescrizioni che vengono presentate come necessità oggettive nascondendone la valenza fortemente politica e l’impatto che esse hanno sul conflitto distributivo, il problema più strettamente politico che l’economia è chiamata ad affrontare.

Sotto questo punto di vista, l’idea che l’euro abbia fallito è pericolosamente ingenua. L’euro sta facendo esattamente ed efficacemente ciò che l’ideologia neoliberale, e le élite economiche e intellettuali che hanno portato i paesi membri a sottoscrivere il trattato di Maastricht, avevano previsto e pianificato che facesse. La teoria delle AVO aveva evidenziato l’insostenibilità del progetto e aveva cercato di individuare, senza successo, condizioni di supplenza che potessero surrogare la carenza strutturale che costituisce il peccato originale dell’eurozona: la mancanza di un reale bilancio pubblico e la conseguente impossibilità di effettuare trasferimenti fiscali compensativi tra regioni come avviene in ogni area valutaria che corrisponda ad uno Stato sovrano.

 Dopo vent’anni di storia, l’Unione Monetaria si trova ora davanti alla linea rossa che deciderà il suo destino. O la sorpassa iniziando un reale percorso federativo. O sarà costretta a fare molti passi indietro recitando il mea culpa per i peccati commessi. In entrambi i casi assisteremo alla rivincita della teoria economica sull’ideologia.

articolo pubblicato su La Fionda https://www.lafionda.org/2021/04/20/robert-mundell-e-i-coccodrilli-strabici/

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