“ALL’ APPARIR DEL VERO TU, MISERA, CADESTI”

AL COSPETTO DELLA VERITA’, IL CREDO DI GREENSPAN NELL’ IDEOLOGIA NEOLIBERISTA CADDE COSI’ COME, ALL’ APPARIR DEL VERO, CADDE L’ UMANA SPERANZA IN LEOPARDI (A SILVIA)

Incalzato dalle domande di Henry Waxman, parlamentare democratico, Alan Greenspan, Presidente della banca centrale americana dal 1987 al 2006, confessa il fallimento del suo credo liberista in un’audizione al Congresso degli Stati Uniti il 23 ottobre 2008. Di seguito, viene riportato uno stralcio dell’audizione.

You had an ideology you had a belief . . . that free ccompetitive . . . and this year your statement . . . I do have an ideology . . . my judgment is that free competition markets . . . are by far the unrivaled way to organize economies . . . we have tried regulation none meaningfully work . . . that was your quote . . . you have the authority to prevent irresponsible lending practices . . . that led to subprime mortgage crisis . . . you were advised to do so by many others . . . and now our whole economy is paying its price . . . do you feel that your ideology push you to make decisions that you wish you had not made . . . well remember that what a knot ideology is . . . is a conceptual framework with the way people deal with reality . . . everyone has one . . . you have to to exist you need an ideology . . . the question is whether it is accurate or not . . . and what I’m saying to you is . . . yes I found a flaw . . . I don’t know how significant or permanent it is . . . but I’ve been very distressed by that fact . . . but if I may . . .  I just finish an answer to the question previous you found a flaw . . . in the reality more in the model that I perceived . . . is the critical functioning structure . . . that defines how the world works so to speak . . . in other words you found that . . . your view of the world . . . your ideology . . . was not right . . . it was not what it had . . . it precisely no . . . I that’s precisely the reason I was shocked . . . because I have been going for 40 years or more . . . with very

Waxman: Lei aveva un’ideologia; lei aveva un credo nella libera concorrenza; quest’anno lei ha affermato Io ho un’ideologia. La mia opinione è che i mercati di libera concorrenza sono di gran lunga il modo migliore di organizzare le economie. Abbiamo sperimentato le regolamentazioni. Nessuna ha funzionato”. Questa è la sua idea.

Lei aveva l’autorità per prevenire prassi irresponsabili in materia di prestiti bancari, prassi che hanno portato alla crisi dei mutui subprime.

Le era stato richiesto di farlo da molte persone e, ora, l’intera economia sta pagando il prezzo.  

Lei ritiene che la sua ideologia l’abbia portata ad assumere decisioni che lei vorrebbe non aver preso?

Greenspan: Bene, ricordiamo che cos’ è un costrutto ideologico. È uno schema concettuale attraverso il quale le persone si relazionano con la realtà.

Tutti ne hanno una; per esistere hai bisogno di un’ideologia; la domanda è se sia corretta o no.

E quello che le sto dicendo è: sì, ho trovato una fallacia, non so quanto sia consistente o definitiva, ma sono stato molto turbato da questo fatto.

Se posso completare la mia risposta alla domanda, in realtà nel modello che ho considerato ciò che non ha funzionato sta proprio alla base dell’ideologia che ha la pretesa di rappresentare come funziona il mondo, per così dire.

Waxman: In altre parole, è emerso che la sua visione del mondo, la sua ideologia non era giusta, non funzionava correttamente?

Greenspan: È così precisamente; è per questa ragione che sono rimasto turbato perché per 40 anni o più ho vissuto riscontrando piena evidenza che stesse funzionando eccezionalmente bene.

E’ interessante rilevare che quando Greenspan parla dei benefici del mercato e della libera concorrenza li riconduce ad una “ideologia” e non ad una “teoria” economica. E’, questa, l’indicazione più interessante della sua confessione. La prendo come una conferma di quanto ho indicato nel mio post sulla concorrenza: è vana la pretesa dell’approccio liberistico di proporre una scienza economica oggettiva che risponderebbe a leggi universali capaci di generare equilibrio economico e sociale attraverso le dinamiche del mercato e attraverso la capacità di quest’ultimo di auto-regolarsi. Un equilibrio che risolverebbe a priori e in modo oggettivo i conflitti sociali inerenti la distribuzione del valore aggiunto prevenendo la loro manifestazione. La politica e la mano pubblica ne stiano fuori; potrebbero soltanto alterare gli equilibri e finirebbero per contrastare la capacità del mercato e della concorrenza di attribuire al capitale e al lavoro la giusta remunerazione in relazione al loro apporto marginale alla produzione: a ciascuno il suo in ragione della rispettiva produttività marginale. Questa ideologia sostituisce il “politico” con l’ “economico” e si propone di imporre le regole del mercato come regole sociali. L’inclusione sociale si riduce all’inclusione nel mercato e la razionalità economica tende ad invadere ogni ambito della vita sociale.

L’apparir del vero mostra invece che il mercato non ha le capacità di auto-regolarsi e di tendere spontaneamente verso l’equilibrio se non disturbato da scelte politiche arbitrarie. La realtà evidenzia che il mercato è, intrinsicamente, generatore di crisi e di squilibri e che non è in grado di superarli senza il contributo della mano pubblica. E’ evidente che i conflitti sociali non possono essere regolati e risolti dalla concorrenza nel mercato. L’apparir del vero mostra quanto siano vuote, e lontane dalla realtà, e quanto siano ideologiche le costruzioni concettuali del pensiero economico marginalista oggi dominante. In realtà, economia e politica (e l’ideologia liberista che le ispira) sono strettamente intrecciate e non possono essere separate. Non esiste un confine che separa l’ideologia politica dall’economia. Per inciso, è questo il tema di fondo di alcuni libri libri dai quali ho molto imparato:

Francesco Saraceno, La scienza inutile. Tutto quello che non abbiamo voluto imparare dall’economia, (Luiss University Press, 2018);

Alessandro Roncaglia, Il potere. Una prospettiva riformista, (Laterza 2023);

Clara Mattei, Operazione austerità, (Einaudi 2022),

Clara Mattei, L’economia è politica, (Fuoriscena 2023).

Ho trovato molto interessante anche Gianpaolo Crepaldi, Liberare l’economia dalle ideologie. L’economia non è una scienza esatta; è una scienza sociale e, come scrive Saraceno, la pretesa di eliminare l’aggettivo “sociale” la trasforma in una scienza inutile, confinata nel mondo dell’astrazione.

L’impianto concettuale degli economisti classici (Smith, Ricardo, Marx) aveva per oggetto le relazioni tra le classi sociali e suffragava l’idea che le tensioni sociali fossero inevitabilmente inerenti ai processi economici. Ecco perché la teoria marginalista (in genere definita impropriamente teoria neo-classica) abbandona il concetto di classe sociale e incentra l’analisi sul comportamento dei singoli individui mossi dal loro interesse personale. Il conflitto sociale è risolto a priori dal mercato (se lasciato libero di funzionare) e, in questo quadro concettuale, l’unico compito della politica è la produzione di un assetto istituzionale che garantisca, attraverso le riforme strutturali, il funzionamento del mercato e della concorrenza e consenta agli individui razionali di agire liberamente, di perseguire il proprio interesse e di generare l’allocazione delle risorse economiche nel migliore dei modi possibili.

In realtà, come dimostrato dalla frequenza delle crisi economiche e dal perdurare dei loro effetti, il mercato non è capace di raggiungere e di mantenere condizioni di equilibrio attraverso meccanismi di auto-regolazione; non è in grado di massimizzare le utilità individuali; non è in grado di contrastare posizioni monopolistiche; non è capace di prevenire le crisi economiche e le conseguenti durature recessioni ed è invece generatore di strutturali disuguaglianze sociali. Da qui la necessità di una mano pubblica che corregga gli errori del mercato.

Cosa risponde alle conclusioni di Greenspan l’economia dominante, quella che si insegna correntemente nelle università? Prendono atto gli economisti che la teoria marginalista non conduce ai risultati che essa stessa ipotizza? No, la risposta che viene data è che è sbagliata la realtà, sono sbagliati gli assetti istituzionali e sociali: c’è ancora troppo poco mercato e troppo poca concorrenza, troppo Stato, troppa rigidità nel mercato del lavoro. Se le cose non funzionano la responsabilità è sempre di fattori esterni al mercato. Il sistema di mercato, nella sua idealizzazione, funziona benissimo e a beneficio di tutti; è un fenomeno naturale (come le leggi della fisica) verso il quale dobbiamo tendere eliminando ogni forma di “inquinamento” dovuta alla mano dell’uomo. Lo dobbiamo fare attraverso riforme strutturali che avvicinino ulteriormente gli assetti economici e sociali alle indicazioni della teoria. Questo ragionamento alimenta la certezza di essere nel giusto e dà supporto all’idea che non vi siano alternative. Ma se una teoria non può essere falsificata (in senso Popperiano), la possiamo considerare una teoria scientifica? o è una ideologia? parliamo di scienza economica ma, dice bene Alan Greenspan, siamo nel campo dell’ideologia.

Ecco spiegato da una persona geniale come funziona il metodo scientifico (e quanto sia distante da esso il pensiero economico):

In una lezione reperibile qui (https://www.youtube.com/watch?v=W3DAGVjAkLg&t=1620s) Stefano Zamagni argomenta le conseguenze legate all’ambizione dell’economia ad assumere la veste di scienza: se l’economia vuole ambire allo statuto di scienza, seguendo il modello della fisica, allora va nella direzione di recidere ogni collegamento con l’etica. Di seguito riporto uno stralcio della lezione.

Molto interessante a questo proposito l’articolo di Rochon e Rossi “Dobbiamo smettere di insegnare l’economia neoclassica all’università? Tutti i difetti di una teoria inservibile“: “conveniamo che l’economia neoclassica è sbagliata, che non è rappresentativa del mondo reale e che le sue politiche sono disastrose. E queste ragioni da sole dovrebbero convincerci tutti a smettere di insegnarla agli studenti universitari. Bisogna considerare anche qualcosa d’altro: l’etica (o la moralità) dell’economia neoclassica. Nell’economia neoclassica l’etica non trova posto, il problema morale è abolito. Per noi, questa è forse la ragione più importante per smettere di insegnare l’economia neoclassica. In tale contesto, cosa insegniamo esattamente agli studenti quando ci affidiamo all’economia neoclassica? Al di là delle solite critiche sui presupposti irrealistici, quali valori stiamo inculcando ai nostri studenti? Insegnando la micro o la macroeconomia, diciamo agli studenti che l’homo oeconomicus è governato dall’interesse personale, che ciò che conta è il perseguimento della propria utilità; che la società va meglio se ignoriamo tutti gli altri (trascurando l’ipotesi irrealistica dell’assenza di classi sociali, ovviamente) e se facciamo solo ciò che pensiamo sia bene per noi. Dobbiamo insegnarla ma solo per confutarla.

Leave a Comment