Ho notato che, molto spesso, chi non accetta un approccio critico sul progetto europeo, e rifiuta perfino il dubbio, non si limita a definirsi “europeista” ma aggiunge l’aggettivo “convinto”: <<sono un europeista convinto>>. Perché non basta dire europeista? Perché sentono la necessità di aggiungere un rafforzativo? Perché hanno bisogno di comunicare che sono ben saldi in questa idea e ci credono fermamente? Forse perché ne fanno una questione di fede che sta al di sopra del dubbio, della conoscenza dei fatti, della razionalità? Per gli europeisti convinti Unione europea e euro sono valori positivi in sé, sono dogmi. Infatti molti aggiungono: non “credo” che l’euro stia dalla parte dei problemi; “credo” che stia dalla parte delle soluzioni dei tanti problemi del nostro Paese. Ecco, appunto, “credono“. Conosco molte persone per le quali l’età dei lumi, Voltaire, Candide non hanno lasciato traccia.
L’europeista convinto ricorda l’ultimo giapponese nella giungla, fermo e irriducibile nel suo dovere di difendere il bidone di benzina dal nemico. Un giorno forse scoprirà (copyright A. Bagnai) che il nemico non c’è più e che il bidone era vuoto. Nel frattempo, però, potrebbero aprirsi alcune crepe nella sua ferma convinzione. Addirittura Draghi si permette di dire che <<se il coordinamento europeo funziona, bene. Sennò bisogna andare per conto proprio>>.
E il MES? che era difeso a spada tratta dall’europeista convinto? Ancora Draghi: <<al momento il livello dei tassi d’interesse è tale che prendere il Mes non è una priorità, ma c’è un motivo più importante: quando avremo un piano della sanità condiviso dal Parlamento e dall’opinione pubblica, allora verrà il momento di chiedersi se vale la pena prendere il Mes, altrimenti sono soldi buttati>>.
Ancora, l’europeista convinto scopre addirittura che il debito pubblico non è più un tabù e che, perciò, bisogna sospendere il Fiscal Compact e forse addirittura sarà necessario riformarlo radicalmente prima di riattivarlo. Sempre Draghi: <<nel 2021 i soldi non si chiedono [ai contribuenti] si danno: verrà il momento di guardare al debito, ma non è questo il momento di farlo>>. A seguito della crisi del 2008, la raccomandazione di molti economisti e delle istituzioni era di tagliare la spesa e il debito. L’austerità era il mantra per contrastare la crisi. Ora il mantra è fare il contrario: il debito da variabile indipendente (a qualsiasi costo) è diventato la variabile dipendente (intanto spendi anche quello che non hai, poi ne parleremo).
Ce ne sarebbe abbastanza per minare le certezze perfino dell’ultimo giapponese nella giunla. Ma ecco che la comunicazione mediatica viene prontamente in soccorso dell’europeista convinto prima che il suo credo possa vacillare. Per rassicurarlo, il lessico mainstream acquisisce categorie logiche nuove che chiudono le crepe e i media le diffondono a piene mani al fine di rassicurare chi fosse sfiorato dal dubbio. Se le dichiarazioni di Draghi le avesse fatte Salvini, sarebbero state catalogate come posizioni sovraniste ed anti-europee. Adesso no. Prima categoria innovativa: Draghi è l’ “europeista pragmatico” . Penso che questo aggettivo “pragmatrico”, mai prima accostato all’europeismo, lo sentiremo ripetere spesso. L’europeista pragmatico sarà il peggior nemico dell’europeista convinto perchè chiamerà le cose con il loro nome sdoganando il lessico e le posizioni critiche proprie di chi esercita il dubbio nei confronti della narrazione mainstream. Prevedo sofferenze per l’economista convinto.
Seconda categoria innovativa. Adesso il debito ha due accezioni: è stata inventata la categoria del “debito buono” da distinguere dal “debito cattivo”. Il debito si può fare, purché sia buono. Restano due interrogativi. Quando toccava a noi, il Fiscal Compact andava bene? perché nessuno parlava di riformarlo? Quando toccava a noi, il debito pubblico era un tabù. Perché non ci veniva consentito di fare il debito buono?
2 Comments
Martino Bonardi
Aprile 3, , 3:06 pmNotevole è che l’intervento “euroscettico” dell’anno scorso di Romano Prodi sul Messaggero sia passato praticamente in sordina.
https://www.ilmessaggero.it/editoriali/romano_prodi/editoriali_romano_prodi-5074557.html
Secondo Romano Prodi attualmente L’Europa non ha futuro
Eugenio Pavarani
Aprile 4, , 5:43 pmGrazie Martino, per il contributo. La pandemia, in campo economico e istituzionale, ha prodotto l’effetto di esasperare i problemi esistenti, li ha messi sotto stress test. Che l’architettura dell’eurozona avesse delle carenze progettuali (i design failures evidenziati da De Grauwe) o una zoppia come la definì Ciampi (disse: se non porteremo avanti l’unione politica e di bilancio, crollerà tutto) era noto ancor prima che l’euro entrasse nelle nostre tasche. Per evitare il crollo, l’UE è costretta ad andare avanti. Se non ricordo male, fu Delors a indicare la metafora della bicicletta: per stare in equilibrio deve andare avanti; se si ferma cade. Ogni crisi ha richiesto un passo in avanti: una quasi unione bancaria (manca un pezzo), il QE, il PEPP, la sospensione delle regole fiscali). Ora ci troviamo davanti ad una linea rossa che è invalicabile per molti Stati e anche per i trattati. La sintetizzo così: non sia mai che un euro versato da un contribuente della Baviera vada a beneficio di un cittadino dell’Andalusia. Se non si va avanti per questa strada, ci sono due possibilità. O si inventa qualcosa di nuovo per tenere in piedi la bicicletta (non so come) o si ritorna alle vecchie regole con effetti sociali che sarebbero devastanti. Capisco bene l’amarezza di Prodi e il suo pessimismo sul futuro dell’UE.