Il Mes e il più Europa. Ma quale Europa?

Gazzetta di Parma, 14 dicembre 2019

Perché non si parla del MES in Danimarca, Svezia, Polonia, Gran Bretagna, Croazia, Bulgaria, Repubblica Ceca, Romania, Ungheria? Eppure, come l’Italia, anche questi paesi sono membri dell’Unione Europea. Non sono interessati al MES e non ne hanno sottoscritto il trattato istitutivo perché non hanno adottato l’euro. Hanno conservato le loro monete e la piena operatività delle loro banche centrali. Per questo motivo non hanno bisogno di una istituzione come il MES. Allo stesso modo, non ne avverte il bisogno nessun altro stato al mondo al di fuori dei 19 paesi dell’eurozona.

Fin dal 1800, le banche centrali hanno il compito di contrastare le crisi economiche cicliche che sono endemiche nel funzionamento del capitalismo. Sono “prestatori di ultima istanza” per le banche e per gli Stati al fine di evitare che carenze di liquidità possano tradursi in situazioni di insolvenza. Il potenziale illimitato di intervento e la tempestività d’azione danno stabilità ai sistemi finanziari nazionali, arginano la speculazione finanziaria e danno certezza agli investitori in titoli di stato.

Secondo gli Accordi di Basilea, che regolamentano le banche di oltre 100 paesi, i titoli emessi da stati che aderiscono all’OCSE sono “risk free” e non comportano alcun accantonamento cautelativo a carico dei bilanci bancari. Costituiscono un’opportunità molto importante per assicurazioni, enti previdenziali e banche al fine di contenere il rischio dei propri impieghi. Un’opportunità insostituibile anche per le famiglie per mettere il risparmio finanziario al riparo dal rischio.

Tutto questo per dire che l’esigenza di dotarsi di un Fondo “salva stati” deriva da una scelta contro tendenza nell’architettura istituzionale dell’eurozona: la Banca Centrale Europea ha il divieto di essere prestatore di ultima istanza degli stati membri. Si tratta di una scelta supportata dalle teorie liberiste che predicano l’indipendenza delle banche centrali. I fatti, peraltro, hanno dimostrato che la mancanza di un prestatore di ultima istanza si è rivelata una grave lacuna ove si consideri che l’incompleta struttura istituzionale disegnata da Maastricht ha favorito l’insorgere di squilibri macroeconomici tra i paesi dell’area e, nel contempo, ne ha drasticamente ridotto gli strumenti di prevenzione e contrasto.

L’istituzione del MES costituisce un tentativo di porre rimedio a questa debolezza strutturale. Un rimedio che appare comunque inadeguato: sono modeste le risorse finanziarie mobilitabili in rapporto alle illimitate possibilità di intervento delle banche centrali; è complesso l’iter procedurale in rapporto alla necessaria tempestività di intervento; è pericolosa la discriminazione a priori degli stati potenzialmente oggetto di intervento che potrebbe costituire un invito a nozze per la speculazione. Soprattutto si deve rimarcare che gli interventi a sostegno saranno subordinati a provvedimenti di tassazione e a tagli della spesa pubblica fino ad arrivare, nella peggiore delle ipotesi, alla ristrutturazione del debito cioè ad espropri a carico degli investitori privati.

Resta comunque il fatto che il MES e la sua riforma, al di là delle carenze e delle criticità, costituiscono un passo in avanti, nella costruzione dell’edificio unitario che procede per stati di avanzamento lungo il percorso del “più Europa”. Un percorso lungo il quale si sta realizzando una graduale trasformazione dell’ordine politico, economico e sociale. E’ un progresso? Per molti lo è, per altri no. Ognuno può prendere le misure valutando gli interessi e i valori in gioco. Mi limito a rimarcare che l’altra faccia della medaglia del “più Europa” è il “meno Italia”: dal modello di società, con tutti i suoi pregi e difetti, prefigurato dalla nostra Costituzione (compresa la “tutela del risparmio in tutte le sue forme”) verso un modello, con altri pregi e altri difetti, molto distante dal primo, fondato sui principi del liberismo e sulla piena esplicazione delle regole dell’economia di mercato.

Concludo con una riflessione – amara – sulla direzione di marcia dell’Unione in relazione alla meta finale indicata dagli architetti del progetto europeo. Il progetto europeo avanza ma non va nella direzione della progressiva costruzione di un assetto statuale di tipo federale. Il MES non è un’istituzione dell’Unione Europea. Nasce da un trattato inter-governativo ed è estraneo all’ordinamento giuridico dell’Unione. Non è alimentato dal bilancio dell’Unione e non ha un collegamento istituzionale con il Parlamento Europeo. E’ un’organizzazione di diritto internazionale ed ha un impianto giuridico che non è pienamente rispondente alle regole degli assetti democratici.  Tanto che nel 2012 in Germania, in vista della sottoscrizione del trattato istitutivo, numerosi ricorsi furono proposti alla Corte Costituzionale che ne sospese la ratifica e la promulgazione subordinandole a due condizioni: che l’obbligo all’assoluta riservatezza sull’attività del MES, prevista dal trattato, non impedisse al Ministro delle Finanze di riferire al Parlamento tedesco in piena trasparenza e che lo stesso Parlamento potesse esercitare il controllo sulle decisioni di questa organizzazione e sulle contribuzioni della Repubblica Federale al suo patrimonio.

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