Il problema delle nascite è diventato un’emergenza sociale ed economica. L’assegno unico va nella direzione giusta per uscire dalla trappola demografica.

Il grafico sotto riportato richiama l’attenzione su uno tra i più gravi problemi del nostro Paese: l’emergenza demografica. Paolo Peluffo (Limes, 4/2020) l’ha definita la “questione delle questioni”. Il problema non riveste soltanto una dimensione sociale e morale, ma ha anche una forte valenza economica. A seguito del Covid-19, ora il problema si è ulteriormente accentuato come si può vedere dal grafico. Il numero dei nati è il più basso dall’Unità d’Italia in poi, così come il saldo negativo tra nascite e decessi è il più alto di sempre.

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Gli ultimi dati, pubblicati dall’ISTAT nei giorni scorsi, descrivono un vero e proprio crollo della natalità accentuatosi dal 2008, anno della crisi economica dalla quale il Paese non si è più ripreso anche a causa delle fallimentari politiche di austerità imposte dalle regole europee. Il picco del baby boom si è avuto nel 1964, anno nel quale è stato superato il milione di nati; ora (2020) siamo a 404.104 (il 30% in meno rispetto al 2008, il 60% in meno rispetto al 1964) e si è ulteriormente accentuata la forbice rispetto al numero dei deceduti (746.146) che ammontano, ora, a quasi il doppio dei nati.

In un editoriale di due anni fa, che riporto di seguito, rimarcavo gli aspetti morali e sociali connessi ad un quadro di riferimento in cui fare figli è la seconda causa di povertà, dopo la perdita del lavoro dei genitori, e lo scivolamento verso condizioni di povertà è direttamente proporzionale al numero dei figli. La pandemia ha aggiunto un ulteriore freno: i nati in novembre (-6,3% su novembre 2019) e in dicembre (-10,3% su dicembre 2019), corrispondenti ai concepimenti di febbraio e di marzo (mesi iniziali della pandemia), denunciano ulteriori motivi di rinuncia da parte delle coppie italiane.

La distanza (fertility gap) tra il numero di figli desiderato (2,1 per donna) e il numero dei figli effettivi (1,3 contro 1,53 in UE) è la più elevata nel mondo sviluppato.

Il problema investe anche la dimensione economica e le prospettive che il nostro Paese ha di uscire da un grave declino ormai quasi trentennale e rappresenta anche una grave minaccia contro la possibilità di ridurre il rapporto tra debito e PIL e di mantenere in equilibrio il sistema pensionistico e previdenziale. La crescita economica dipende, infatti, da tre fattori:

a) quante persone lavorano (il numero degli occupati; la scarsa incidenza del lavoro femminile; l’immigrazione)

b) quante ore lavorano gli occupati (incidenza del part time e del lavoro precario, limiti di età per il pensionamento)

c) quanto producono gli occupati in un’ora di lavoro in termini di valore aggiunto (produttività)

Tutti e tre i fattori concorrono a spiegare l’arretramento economico del nostro Paese. Ora, più che mai, è indispensabile e prioritaria una politica governativa volta a rimuovere gli ostacoli che sconsigliano di mettere al mondo dei figli. Il problema è aggravato dal lunghissimo lag temporale che intercorre, in campo demografico, tra provvedimenti e risultati nel campo dell’economia. I provvedimenti assunti oggi per modificare la curva delle nascite daranno risultati con un ritardo di decenni. Le proiezioni effettuate da Banca d’Italia in un lavoro citato da Peluffo, sopra richiamato, indicano che l’Italia, per la sola dinamica demografica (senza contare il contributo positivo dell’immigrazione), subirebbe una calo del PIL pro capite di oltre il 33%. nell’arco di circa 40 anni. L’italia sarebbe condannata ad una drammatica divergenza nel quadro delle economie sviluppate e vedrebbe ancor più accentuata la propria emarginazione.

L’ASSEGNO UNICO PER OGNI FIGLIO? LA STRADA GIUSTA

17 ottobre 2019 GAZZETTA DI PARMA

ALFREDO ALESSANDRINI
EUGENIO PAVARANI

Associazione Parma per la famiglia


Finalmente tutti d’accordo: la proposta di un assegno unico per ogni figlio, come in molti paesi europei, è diventata patrimonio comune non solo delle associazioni delle famiglie (il Forum delle Famiglie lo chiede da cinque anni), ma anche della politica (tutti i partiti sono d’accordo, anche l’opposizione).

Il progetto è formulato nella legge delega a prima firma Delrio in discussione alla Camera. Un assegno unico: 240 euro al mese per ogni figlio dal settimo mese di gravidanza fino ai 18 anni e 80 euro fino al compimento degli studi universitari. Una dotazione unica, semplice, mensile, erogata alle famiglie per il solo fatto che hanno dei figli. «Sarà una rivoluzione» assicura il Ministro dell’Economia, una terapia shock capace di rilanciare la domanda di beni e servizi e di dare una svolta alla drammatica denatalità. Sembrava che la copertura finanziaria potesse venire già dalla legge di bilancio destinando buona parte delle risorse aggiuntive mobilitate dalla Nadef e accorpando la spesa attualmente dispersa in numerose agevolazioni e bonus vari. Se ne riparlerà nel prossimo anno, assicura il Governo confermando che l’assegno unico per la famiglia rimane una priorità della sua azione.

Per apprezzare questo orientamento occorre porsi due domande: cosa chiedono gli italiani alla manovra di bilancio? perché l’assegno unico sarebbe veramente una rivoluzione?  

Gli italiani chiedono alla politica e ad ogni governo una cosa sola: salvare l’Italia dal declino economico nel quale è imprigionata da un ventennio. Rimettere in moto l’economia, creare lavoro, ridurre le diseguaglianze, contrastare la povertà, porre rimedio a crescenti ingiustizie sociali, dare una prospettiva ai giovani.

Più l’asticella è alta e crescente, tanto più occorre una visione sistemica capace di incidere sulla radice comune dei problemi, una strategia di forte discontinuità in grado di dare uno shock al Paese. Occorre la capacità e la volontà di concentrare su pochi obiettivi prioritari le risorse scarse avendo un’idea-guida per il Paese sulle cause della crisi e sulla scala di priorità degli interventi necessari. 

Concentrare le risorse sulle famiglie significherebbe affrontare di petto e contemporaneamente due ambiti emergenziali della crisi: la carenza di domanda e il calo demografico. Che la crisi sia una crisi di domanda è ormai un fatto acquisito, ripetuto dalla Bce in ogni occasione e, più recentemente, ribadito anche da numerosi esponenti dell’Unione Europea. E’ un problema che riguarda l’intera Europa e non solo l’Italia: si esce dalla crisi non facendo austerità ma aumentando la spesa pubblica e privata per consumi e per investimenti. La crisi economica europea dimostra che la sola politica monetaria è utile ma non è sufficiente a rilanciare un’economia in stagnazione e che politiche fiscali restrittive sono addirittura controproducenti.

L’Italia ha bisogno di una manovra finanziaria espansiva, concentrata su un bersaglio strategico. Sotto questo profilo, l’assegno unico avrebbe un impatto rilevante anche su un altro problema prioritario del Paese: il grave calo demografico. Negli ultimi cinque anni l’Italia ha perso la popolazione equivalente a quella di un’intera città delle dimensioni di Palermo. Non c’è futuro per l’economia di un Paese che dal 2008 ha visto crollare il numero delle nascite e ha subito negli ultimi 5 anni l’emigrazione di 420.000 residenti, per la metà giovani diplomati o laureati tra i  20 e i 34 anni.

Non c’è futuro per un Paese che vede crescere rapidamente il rapporto tra la popolazione anziana e quella dei giovani (siamo arrivati a 165 anziani ogni 100 giovani).  L’emergenza denatalità si è accentuata dall’inizio della crisi e nel 2018 ha toccato il minimo assoluto dall’unità d’Italia. L’Istat ha certificato che fare figli è la seconda causa di povertà, dopo la perdita del lavoro dei genitori e ha dimostrato che lo scivolamento verso condizioni di povertà è direttamente proporzionale al numero dei figli.

Secondo i dati della Federconsumatori, dalla nascita ai 18 anni un figlio costa 171 mila euro in media: più o meno come una Ferrari. Alle spese di mantenimento si aggiungono vere e proprie iniquità fiscali. A parità di reddito, una famiglia con figli sostiene gli stessi oneri fiscali di una coppia senza figli. Le famiglie che vivono di reddito da lavoro autonomo non beneficiano degli assegni familiari. Gli incapienti non hanno modo di beneficiare delle detrazioni fiscali per figli a carico.

Il miracolo economico del dopoguerra  ha generato il fenomeno del baby boom; ora, al contrario, la crisi economica impone prudenza nelle decisioni di mettere al mondo dei figli. Dover decidere di non fare figli è un odioso problema sociale ed è, al contempo, anche un grave problema economico legato alla crescente carenza di popolazione attiva, che frena la possibilità di ripresa economica e ha conseguenze molto pesanti sulla sostenibilità del sistema di protezione sociale.

La rivoluzione copernicana dell’assegno unico è anzitutto una rivoluzione culturale. Si guarda alla famiglia non più soltanto in una logica di sostegno al bisogno e di contrasto alla povertà. Al bisogno e alla povertà devono essere destinati  specifici provvedimenti, ma è necessario andare oltre. La nuova logica considera i figli non più un bene privato di due coniugi, bensì un bene comune per il sistema paese. Si tratta di dare alle famiglie che fanno figli dignità, coraggio e fiducia nel futuro attraverso la certezza che lo Stato e la collettività sostengono e incentivano chi si fa carico di far crescere e di provvedere all’educazione delle nuove generazioni investendo sul futuro del Paese.

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