Auto elettrica: alcune conferme delle idee che ho proposto nel mio articolo (aggiornato il 30 luglio 2023)

In Europa e negli Stati Uniti verranno destinati ingenti sostegni pubblici (soprattutto negli USA) a supporto della transizione alla mobilità elettrica. Per di più, in Europa sarà proibita, a partire dal 2035, l’immatricolazione di auto con motore a scoppio.

Nel mio post del 13 aprile scorso ho sostenuto che quest’ultima decisione degli organi europei è stata presentata con finalità nobilitanti, surrettiziamente motivate dall’esigenza di contenere l’emissione di CO2 nell’atmosfera.

Questa motivazione risulta indubbiamente condivisibile sul piano dei principi ma poco credibile sul piano dei reali benefici ambientali che sarebbero conseguiti. Ad un’analisi più concreta, e alla prova dei dati, la motivazione nobilitante non riesce a nascondere quello che potrebbe essere un intento, quanto meno collaterale, più credibile ma meno narrabile.

Si tratterebbe, in sostanza, di dare una giustificazione più “presentabile” al meno nobile sostegno alle case automobilistiche. Sostegno diretto (aiuti di Stato alle imprese a supporto degli investimenti) e sostegno indiretto (incentivi per gli acquirenti) al fine di supportare la competitività del settore automobilistico europeo nei confronti dello strapotere dell’industria cinese che si estende lungo l’intero ciclo di produzione dell’auto elettrica. Intento molto concreto, ma meno politicamente sostenibile sul piano dei principi anche perché rappresenta un’abiura rispetto ai dogmi fondativi dell’ordinamento europeo.

Gli USA lo fanno erogando incentivi a carico del bilancio pubblico. L’UE, non disponendo di un reale bilancio pubblico, lo fa sospendendo le norme restrittive sugli aiuti di Stato da parte dei Paesi membri e, soprattutto, lo fa con un provvedimento dirigistico che, di fatto, crea la domanda di auto elettriche (attualmente molto modesta nei Paesi dell’Unione), provvedimento che costituisce una inversione ad U rispetto ai principi fondativi dell’Unione.

Sono sorpreso dal fatto che le idee presentate nel mio post e in una mia relazione in un Convegno sul futuro dell’auto elettrica non trovino riscontro, per quanto mi risulta, nella letteratura economica e tanto meno nella pubblicistica corrente. Per questo motivo trovo conforto nelle rarissime voci che propongono argomentazioni in sintonia e mi riprometto di riportarle in questo post integrativo.

Il video seguente rappresenta una testimonianza molto efficace a supporto di quanto ho sostenuto nel mio post a proposito del modesto impatto riduttivo dell’emissione di CO2 che potrà essere generato dalla transizione alla mobilità elettrica.

Marco Dell’Aguzzo (qui) porta ad esempio la Norvegia, Paese nel quale le auto elettriche rappresentano l’80 per cento delle nuove immatricolazioni. Cosa insegna il caso della Norvegia? << In sostanza, il caso della Norvegia sembra indicare che le automobili elettriche non sono sufficienti all’abbattimento delle emissioni >>.

Alessandro Penati, in un articolo del 10 luglio sul quotidiano Domani, mette in evidenza come la politica dell’Unione a sostegno della mobilità elettrica, oltre a perseguire obbiettivi di carattere ambientale, risponde anche a motivazioni finalizzate alla competitività e allo sviluppo economico. Il caso dell’auto elettrica, che vede l’Europa in grave ritardo rispetto a Cina e USA, fornisce un esempio illuminante dei guasti causati dalla bolla ideologica mercatistica che ha caratterizzato l’architettura dell’Unione fin dalle sue origini ed ha spinto nella direzione di arginare il ruolo dello Stato, della politica industriale e della politica tout court dalle dinamiche dei mercati. Ora, si cerca di rimediare spostando il pendolo dell’economia dal mercato verso lo Stato, ma probabilmente è troppo tardi e, per di più, l’Unione non dispone degli strumenti necessari ai quali, invece, Cina e USA hanno fatto ampio ricorso.

Riporto di seguito alcuni stralci dell’articolo di Penati.

<< Lo sviluppo economico dipende da qualità e quantità degli investimenti in capitale umano e fisico. In questo lo Stato ha un ruolo chiave: oltre a produrre quei beni pubblici che hanno forti esternalità positive sulla produttività (istruzione, ricerca, sanità) e realizzare gli investimenti che il mercato non può finanziare, deve indirizzare gli investimenti privati nei settori con il più alto potenziale per la crescita. Questa premessa è utile per capire la rilevanza del Green Deal europeo: l’obiettivo di zero emissioni nocive nel 2050 è importante non solo in termini di benessere ambientale, ma sarebbe anche strategico per innalzare il trend di crescita del Continente. … Il settore automobilistico ha una forte rilevanza in Europa. Per non perderla sono necessari enormi investimenti per la riconversione all’elettrico e un aumento della domanda di vetture elettriche (EV) per raggiungere le economie di scala necessarie ad abbattere i costi di produzione e remunerare il capitale investito. Il blocco UE alle nuove auto con motore endogeno nel 2035 aveva proprio lo scopo di rendere certa la svolta elettrica e quindi la domanda di EV, riducendo così il rischio degli investimenti e favorendo le economie di scala. … Cina e Stati Uniti, i due principali mercati anche per case automobilistiche europee, hanno già svoltato decisamente verso l’elettrico. … Le imprese cinesi stanno raggiungendo le economie di scala per poter invadere con offerte competitive i mercati europei e americani >>.

Marco Zanni, Parlamentare europeo, riprende un grafico di Bloomberg sulle emissioni di CO2

e commenta in un TWEET del 21 luglio scorso:

“Bloomberg pubblica questo grafico sui grandi inquinatori. L’UE è quello spicchietto blu che pesa il 7.3%. Significa che la follia green di Timmermans e di Vonderleyen ci costerà la distruzione dell’industria, dell’agricoltura e enormi sacrifici a famiglie per un beneficio risibile”.

Per amore di precisione, sarebbe opportuno non utilizzare il lemma pollution (inquinamento) quando si parla di CO2 che è utto meno che fonte di inquinamento.

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